Search

Protagonisti e non spettatori. La rivolta del Politecnico di Atene del 17 novembre 1973.

Protagonisti e non spettatori. La rivolta del Politecnico di Atene del 17 novembre 1973.

Dopo la Conferenza di Yalta e la fine della Seconda guerra mondiale, la Grecia è stata integrata nella sfera di influenza occidentale e inizialmente è stata posta sotto la tutela britannica. Con gli eventi che determinarono il predominio dell’estrema destra collaborazionista, rimase aperto il problema politico. Era ancora forte il movimento di resistenza che aveva vinto il fascismo e era influenzato dalla fantasia di un mondo socialista migliore, sotto l’egida del Partito Comunista. Ne risultò una guerra civile che dette l’opportunità agli USA di intervenire nel paese e porre la Grecia sotto la propria influenza dal punto di vista politico, economico e militare. Gli USA, contro il pericolo comunista, offrirono cibo, armi e bombe per consolidare la propria posizione nella regione.

La sconfitta dei guerriglieri nella guerra civile segnerà l’inizio della “democrazia”, una monarchia costituzionale, che darà la caccia ai suoi oppositori in modo vendicativo. Nonostante la responsabilità della sua leadership politica, che in molti casi non fu all’altezza della situazione, il Partito Comunista rimase, anche se in modo clandestino, il nemico interno della nuova monarchia greca emergente.

In questo contesto l’esercito doveva essere l’unico garante della stabilità politica o meglio, il garante della deviazione politica del paese. Già nel 1951, con il colpo di stato militare dell’organizzazione “IDEA” (il Sacro Vincolo degli Ufficiali Greci), gli ufficiali greci cercarono subito un militare che accettasse di rappresentare la loro pura ideologia nazionalista e che offrisse anche la sua alta protezione alla rete di militari seguaci dell’organizzazione. Se l’IDEA fu sconfitta, rimase in vita attraverso l’EENA (Unione Nazionale dei Giovani Ufficiali), fondata nel 1958, e guidata dal futuro dittatore Georgios Papadopoulos e da Demetrios Ioannidis. il primo fu anche il procuratore del famigerato processo Bellogiannis che portò all’esecuzione di 4 militanti di sinistra e ufficializzò l’idea della cospirazione comunista contro la nazione.

La temporanea vittoria del Centro nel 1963 diede inizio a una nuova tensione nelle relazioni tra militari e politici. Sebbene l’Unione di Centro avesse ottenuto un’importante vittoria elettorale nel 1964, non riuscì a cambiare l’equilibrio di potere nella leadership dell’esercito. La tensione che prevaleva nell’Unione di Centro rendeva ancora più difficili le riforme in qualsiasi settore della vita pubblica. Nel luglio 1965 G. Papadopoulos denunciò il sabotaggio dei carri armati di Evros, che, come si dimostrò in seguito, era una montatura ordita da egli stesso. Contemporaneamente scoppiò il caso ASPIDA, l’organizzazione segreta dei giovani ufficiali che intendeva contrastare il potere della destra nazionalista nell’esercito. Bersaglio principale dello scandalo fu Andreas Papandreou, figlio del Primo Ministro Giorgos Papandreou. Quando quest’ultimo volle assumere personalmente il ministero della Difesa, incontrò la ferma opposizione del re Costantino. Le dimissioni del Primo Ministro, il 15 luglio, provocarono la più grande crisi del dopoguerra in Grecia.

Sebbene non vi fosse una seria minaccia comunista e l’economia si stesse effettivamente riprendendo, la Grecia – sotto l’influenza degli americani – era un Paese che doveva rimanere instabile per neutralizzare anche qualsiasi prospettiva socialdemocratica. Con il colpo di stato militare del 1967 la Grecia divenne l’unico esempio europeo dell’attuazione della politica americana dei colpi di Stato, così ampiamente affermata in America Latina. In conclusione, nell’ambito del mondo occidentale, e in primo luogo agli americani, il governo della giunta offrì immediate garanzie sulla sua lealtà nei confronti della NATO.

Quando scoppiò l’insurrezione del 1973, Papadopoulos stava cercando di legittimare il regime e di entrare in conciliazione con i politici borghesi abolendo la monarchia, concedendo l’amnistia ai prigionieri politici e agli esiliati e nominando un governo che non doveva vedere a capo un militare ma un politico, Spyridon Markezinis. In quel contesto vi fu l’esplosione della rivolta nel centro di Atene, a partire dall’occupazione del Politecnico, il 14 novembre, da parte di 350 giovani, soprattutto studenti universitari ma anche delle scuole superiori, mentre la stessa notte diversi operai, soprattutto muratori, formarono un’assemblea operaia nell’edificio Gini del Politecnico.

La polizia non riesce a reprimere l’insurrezione che si diffonde, ma al suo interno è in atto un’intensa lotta tra diverse tendenze, le due principali delle quali sono da una parte quella dell’autonomia e dello spontaneismo, iniziata con l’occupazione del Politecnico ed essenzialmente insurrezionale, anticapitalista e antistatale, e dall’altra parte quella che voleva utilizzare il movimento studentesco come strumento di pressione per la “democratizzazione”, cioè come merce di scambio nelle mani dei democratici borghesi che sono imbarazzati o spaventati dalla crescente ondata di ribellione. I portavoce di questa linea erano i rappresentanti giovanili dei due gruppi scissionisti del Partito Comunista.

Ma prima che i riformisti riuscissero a controllarla e a sottometterla, come avrebbero voluto fare, la rivolta, che si stava sviluppando nelle strade di Atene con scontri e attacchi agli edifici pubblici, e minacciava di estendersi alle scuole e alle fabbriche, diffondendo la paura del potere e dei suoi pretendenti, fu stroncata dai carri armati.

La transizione da governo militare a governo civile preparata dal regime fallì e il colonnello Papadopoulos fu sostituito dal generale di brigata Ioannidis. Il regime si trovò impantanato nell’odio e, di fronte alla paura di una nuova esplosione sociale, l’autorità fu infine consegnata intatta ai politici nel luglio 1974, quando i militari giocarono e persero la loro ultima carta, quella del nazionalismo, con il fallimento del colpo di Stato a Cipro e l’invasione dell’isola da parte delle truppe turche.

La narrazione dominante sulla rivolta del Politecnico del 1973 oscilla tra lo svilimento e la minimizzazione della destra e la assimilazione e la mitigazione della sinistra. Ciò che fa da ponte tra questi due schieramenti è l’unità nazionale e il mito fondante della democrazia borghese, che doveva spiegare come fosse possibile per il Paese essere per sette anni l’unica dittatura che si fosse manifestata nel dopoguerra in Europa occidentale. Ma ciò che oggi unifica davvero tutte le narrazioni, creando le condizioni per la cupa situazione sociale sotto lo stivale autoritario del totalitarismo moderno, è la sete di potere nel quadro competitivo della democrazia borghese. L’egemonia del sentimento di destra porta tutte le forze e i raggruppamenti politici a muoversi nella stessa direzione, nel caso in cui riescano a conquistare una fetta della torta. Inevitabilmente, questa condizione, insieme al violento attacco repressivo lanciato dallo Stato e dal capitale contro i proletari, porta alla deradicalizzazione delle lotte e all’arretramento dei movimenti sociali nel loro complesso. La ristrutturazione educativa, che era stata un obiettivo costante dello Stato e che quasi tutti i governi della “Metapolitefsi” avevano tentato di imporre attraverso una serie di disegni di legge, che furono rovesciati dai movimenti sociali radicali del loro tempo, è stata infine superata dall’attacco capitalista al lavoro, l’intensificazione del processo educativo a tutti i livelli e l’aumento del costo della vita a un’altezza così insopportabile che siamo costantemente portati all’individualizzazione e alla deradicalizzazione delle lotte ma anche dei sentimenti. Tuttavia, la rivolta del Politecnico rimarrà viva finché riuscirà a riprodurre oggi ciò che è costato tanto al dominio di allora: la convinzione intransigente che, anche nei tempi più bui, la lotta, libera, massiccia e sovversiva del popolo riuscirà a giocare un ruolo dominante nella storia e non accetterà di essere relegata al ruolo di spettatrice, come avviene in tutte le cerimonie di commemorazione.

Non è un caso che la rivolta del Politecnico coincida con la prima sostanziale impronta sociale delle moderne idee anarchiche e antiautoritarie in Grecia. Tra i primi movimenti studenteschi antidittatoriali e le organizzazioni di resistenza che agirono contro la giunta e dal cartello E-L-E-Y-TH-E-R-I-A [LIBERTA’] sul tetto della Facoltà di Giurisprudenza occupata, fino allo scoppio della rivolta nel Politecnico, si formarono le prime cellule anarchiche. Queste entrarono nell’occupazione del Politecnico e parteciparono alla rivolta fin dal primo giorno, come parte della tendenza rivoluzionaria che non voleva alcun compromesso con la giunta, né come sostenitore indiretto della liberalizzazione, né come proposta di un governo di unità nazionale, come sostenuto dalle forze riformiste. Da quel momento in poi, lo spirito libertario esprimerà una moltitudine di lotte, rispettando ogni singolo militante che è stato imprigionato, torturato e perseguitato dalle giunte, ma anche esprimendo una fede senza tempo nella causa rivoluzionaria, che rifiuta le prese in giro delle leadership.

Siamo sempre e innanzitutto contro il potere, lo Stato, ogni governo, l’esercito, la polizia, la chiesa, tutto ciò che costituisce la “nazione”, che, in quanto tale, non ha affatto combattuto la dittatura; al contrario, le istituzioni esistenti e durature che la sostengono sono state il principale serbatoio per attingere funzionari e riferimenti per la giunta. Oggi, anche con l’intensificazione della repressione, si realizza il tentativo di imprimere la propria egemonia sul corpo sociale da parte della destra. Questo è evidente nella volontà di minare le dinamiche insurrezionali del Politecnico, adottando apertamente una narrazione e un programma di estrema destra che svilisce la lotta del popolo che si è opposto con dignità alla bestia della brutalità.

Noi anarchici non verseremo mai acqua al mulino della sovversione manipolata dalle forze dominanti. Facciamo luce sul carattere complessivamente anti-regime della rivolta del Politecnico, sul suo spirito antiautoritario, sulla sua volontà radicale, sul suo carattere antistatale, sul suo sentimento antimperialista, sulla sua prospettiva anticapitalista. Partecipiamo ai tre giorni di celebrazione della rivolta del Politecnico, sostenendo i compagni che intervengono nelle assemblee generali dei sindacati studenteschi. Inviamo il messaggio perenne della rivolta ai quartieri, ai lavoratori. Ci rivolgiamo agli studenti e li invitiamo a partecipare alle tre giornate e alla marcia del 17 novembre, per mantenere viva la scintilla delle rivolte passate, in modo da poter accendere la fiamma delle prossime rivolte, attraverso l’organizzazione, la lotta, il progetto e la determinazione. Oggi queste e tante altre cose sono necessarie poiché gli slogan della rivolta del Politecnico non solo non sono stati realizzati per le grandi masse, ma stanno arrivando nuove sfide per imporre una nuova distopia totalitaria. I discendenti politici della dittatura si sono tolti le uniformi militari e hanno indossato abiti ministeriali, i rifugiati e i migranti sono annegati a centinaia alle frontiere marittime del Paese, l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e dell’energia sta mettendo in ginocchio i più poveri, spingendo sempre più persone nello spettro della privazione. Il sistema di sfruttamento e oppressione è di fatto fallito perché non ha nulla da offrire, anzi sta preparando un’emorragia sociale e un saccheggio ancora maggiori, mentre minaccia apertamente intrecci militari negli ingranaggi delle rivalità inter-imperialiste.

È proprio per questo motivo che il potere sta usando sempre più spesso la repressione. La presenza costante e intensificata della polizia nello spazio pubblico e nella vita sociale dimostra che l’esercito di occupazione dello Stato si sta trasformando in un’unità totalitaria e onnipresente per l’applicazione del potere brutale dello Stato e dei padroni. Allo stesso tempo, non possiamo dimenticare che, nonostante l’elevazione della polizia a strumento politico che svolge un ruolo chiave nella gestione dei disordini sociali e nella difesa del regime “democratico”, i poliziotti stessi continuano a comportarsi come un’autentica banda parastatale il cui scopo principale è quello di picchiare, torturare e umiliare chi si oppone alla violenza statale e autoritaria. Il pestaggio della ragazza antifascista di 17 anni a Heraklion, l’omicidio di Kostas Manioudakis, il terzo omicidio di un minorenne rom avvenuto solo pochi giorni fa sono solo alcuni esempi che confermano come il potenziamento incontrollato del ruolo della polizia miri a terrorizzare il popolo e all’arretramento e allo schiacciamento della resistenza contro tutti i nuovi orientamenti ultraliberisti. Dai disegni di legge anti-lavoratori a quelli per la ristrutturazione dell’istruzione, dall’intensificazione del saccheggio delle risorse naturali, alle leggi repressive contro proteste e manifestazioni. Questo segnale di autoritarismo e di attacco totale al corpo sociale è ciò che spiega la gestione criminale da parte dello Stato delle catastrofiche inondazioni in Tessaglia, le migliaia di ettari di terra bruciata lasciati ogni estate dopo gli incendi, la copertura nei confronti di stupratori, pedofili e abusatori, la repressione delle lotte sindacali e la violenza contro gli studenti dell’Università Aristotele di Salonicco, la violazione dell’asilo universitario con l’accampamento di poliziotti antisommossa all’interno dei locali dell’università, i pestaggi e i numerosi arresti di militanti, i ripetuti sgomberi delle occupazioni, la normalizzazione della morte per l’incidente ferroviario di Tempi, l’annegamento delle donne migranti nelle acque dell’Egeo, la collaborazione cristallina tra Stato e parastato, giudici e uomini d’affari, gli stupri nelle stazioni di polizia, la violenza brutale contro le manifestazioni e come queste vengano regolarmente vietate.

Il nostro compito è quello di affinare e organizzare la resistenza sociale in un quadro coerente di lotta efficace e vittoriosa con caratteristiche libertarie. Siamo al fianco di chiunque si sollevi, interveniamo in tutti i campi sociali, difendendo le esigenze sociali e comunicando la proposta di lotta dell’anarchismo alle masse. Non ci illudiamo che ci sia un modo per abbellire e umanizzare lo Stato e il sistema capitalista. Contro l’attacco organizzato dello Stato e del capitale, l’unica soluzione risiede nell’organizzazione della lotta degli oppressi e degli sfruttati. Del resto, la storia dei movimenti sociali e di classe che hanno lottato per un mondo senza sfruttamento e oppressione ci dimostra che la solidarietà sociale tra gli oppressi di tutto il mondo è la nostra arma contro i nostri comuni oppressori. Qualsiasi cosa si ottenga sarà il risultato delle nostre lotte diffuse, di base, militanti e radicali. Coordiniamo le nostre forze a livello federale, difendendo la parte essenziale della nostra memoria, dal cortile del Politecnico nel 1973, al sangue di Koumis e Kanellopoulou, al corpo di Michalis Kaltezas a Exarcheia, la testa di Nikos Teboneras a Patrasso, e il cuore di Alexis Grigoropoulos, gli anarchici e i militanti sociali di ieri, in carcere o scomparsi da tempo ma sempre vivi, ogni volta che questo slogan senza tempo viene gridato da mille voci ma da un’anima sola:

ABBASSO L’AUTORITÀ!

SOLIDARIETÀ-ORGANIZZAZIONE-INTERNAZIONALISMO

LOTTA PER LA RIVOLUZIONE SOCIALE, L’ANARCHIA E IL COMUNISMO LIBERTARIO

Anarchist Political Organization – Federation of Collectives

Articoli correlati